Psicologia dei colori

un articolo di A. Sgarlato

PSICOLOGIA DEI COLORI#1 (di Alfredo Sgarlato)

Come ci dimostrano le scienze del comportamento, per la mente umana un colore non è solo una variazione di un’onda luminosa, ma ma presenta molteplici significati storici, simbolici, emotivi, politici e linguistici. Ma la percezione stessa dei colori è variati secondo le epoche: lo storico e antropologo Michel Pastoureau afferma che da un uomo del medioevo un blu e un rosso opaco o lucido erano percepiti come più simili di due sfumature di blu. Nei testi più antichi troviamo citati solo i colori primari: molti popoli primitivi hanno pochi termini per definire i colori. Gli Hanunoo del sud delle Filippine usano solo quattro termini per definire i colori e sono riferiti allo stato del fogliame. In Corea un unico termine indica rosso e arancione e in Giappone la stessa parola, “midori”, indica verde e giallo, il che non significa che non li distinguano, ma che non li considerano così diversi. In inglese la parola blue indica tutte le sfumature di quel colore, in russo si usano due termini, in italiano una mezza dozzina (Dante usa anche “perso” e “glauco”, oggi dimenticati). Anche le lingue più ricche non hanno un termine per definire un colore intermedio tra verde e giallo: alcuni studiosi pensano che sia così perchè tale sfumatura è percepita come oggettivamente troppo brutta. Esiste anche un test di personalità, ideato da Max Lüscher, basato sulla preferenza o rifiuto per alcuni colori, associati a tratti di carattere o stati d’animo. È un test che misura stati mentali attuali, per cui è l’unico ripetibile. Nelle prossime puntate parleremo dei singoli colori.

Per saperne di più, oltre ai testi del già citato Pastoureau:

Psicologia del colore, Claudio Widmann e Magda di Renzo

Cromofobia, David Batchelor

nella foto un’immagine di  Michel Pastoureau

PSICOLOGIA DEI COLORI#2 (di Alfredo Sgarlato)

Gli antichi romani non sapevano produrre il colore blu, a differenza degli egizi; per questo lo odiavano e lo riservavano, nei combattimenti al colosseo, ai barbari più violenti. Per distinguersi dai romani i Franchi lo scelsero come colore simbolo. Nella bandiera repubblicana francese il blu è associato al concetto di libertà. Ciò avvenne perchè, con l’affermarsi della borghesia, questa fece propri due valori, la libertà e il buon gusto, sconosciuti all’aristocrazia (che non ne sentiva il bisogno) e al volgo (che in quanto tale, poteva essere volgare). E per il borghese dell’epoca buon gusto voleva dire vestire in blu, diversamente dai chiassosi vestiti dei nobili. Quando poi si diffondono i blue jeans alla libertà borghese (sostanzialmente il liberismo economico) viene sostituita la ribellione giovanile. In inglese “blue” sta anche per “malinconico”, da cui blues per indicare le tristi canzoni degli schiavi neri, e “blue note” per indicare la percezione che ha l’orecchio occidentale delle scale della musica jazz, in cui alcuni intervalli (quinta o settima) sono leggermente calanti. Nel test di Lüscher il blu indica introversione, tendenza alla cerebralità e alla spiritualità, ma anche alle dipendenze.

Nell’immagine: Yves Klein, Monocromo, 1959

PSICOLOGIA DEI COLORI#3

di Alfredo Sgarlato

Il colore rosso è quello più ricco di significati archetipici e simbolici. È generalmente associato al sangue, e quindi alla vita, all’eros, ma anche alla lotta al coraggio. Poichè il sangue è uguale per tutti il rosso è politicamente associato all’idea di uguaglianza, quindi a socialismo e comunismo. Ma ha anche il significato opposto: poiché nell’antichita era costoso, diventa simbolo di ricchezza e potere, specie nella gradazione porpora, e destinato a re, papi e cardinali. Dal punto di vista religioso è anche il sangue dei sacrificati e dei martiri, sostituito dal rosso del vino nella messa. Il sangue può essere puro o impuro, il lusso ostentato o ritenuto spregevole, così come la sessualità, per cui in alcune epoche il rosso è stato riservato alle prostitute (da cui quartieri e poi film a luci rosse). Nel ‘900 l’esplosione della plastica e dei materiali sintetici fa sì che il rosso diventi colore moderno per eccellenza, amato da designer e pubblicitari (ma ancora di più l’arancione, altrettanto dinamico ma meno aggressivo). Nel test di Lüscher il rosso connota il rapporto col corpo e la sessualità.

Nell’immagine: Henri Matisse, Armonia in rosso, noto anche come La stanza rossa, 1908/9, Hermitage, San Pietroburgo

PSICOLOGIA DEI COLORI#4 (di Alfredo Sgarlato)

Al colore viola non sono associabili particolari significati archetipi. Normalmente nel  detto popolare “porta sfiga” a chi fa teatro: questo perchè anticamente, durante la quaresima, in cui i sacerdoti indossano paramenti viola, qui segno di lutto, i teatri erano chiusi e i teatranti facevano la fame. Già nell’antico Egitto era considerato magico o nefasto e non se ne poteva neppure pronunciare il nome. Nel tardo impero romano, e poi bizantino, era simbolo regale. Da allora a periodi passa e poi torna di moda. È amato da decadenti, preraffaelliti, hippies, gotici, militanti gay e femministe, come colore elusivo, difficile da classificare, e quindi edonista e libertino. Il viola nel test di Lüscher, in quanto somma di blu e rosso, indica buon equilibrio mente-corpo, viene anche scelto spesso da tossicodipenenti, minoranze etniche e donne incinta.

Nell’illustrazione:  Arthur Hughes, “April love”, 1855/6, olio su tela, Tate Britain

PSICOLOGIA DEI COLORI#5 (di Alfredo Sgarlato)

Storicamente nella cultura occidentale il bianco è legato alla luce, quindi alla presenza divina, e alla sua assenza il nero, quindi alle tenebre, al diavolo, alla morte. Al contrario per gli orientali il bianco, come assenza di colore, è visto come triste, invece il nero, somma di tutti i colori, ha valore positivo. Di conseguenza al bianco si collegano idee quali purezza, verginità, infanzia, ovviamente nell’ottica della cultura cattolica, dove è normalmente usato per gli abiti da sposa, e il nero è usato per il lutto. In Oriente al contrario è il bianco il colore del lutto mentre gli abiti da sposa sono rossi. In politica il bianco simboleggia la fratellanza (tutti gli uomini sono figli di Dio), il nero nei paesi anglosassoni è legato all’anarchismo e in generale al rifiuto del potere (vedi la bandiera dei pirati), in Italia all’opposto è stato adottato dal fascismo, con la sua ideologia intrisa del culto della guerra e della morte. Nel secondo  ‘900 diventa anche simbolo di eleganza e fascino, alla moda, grazie anche a vestiti iconici come il tubino di Audrey Hepburn o l’abito di Marcello Mastroianni nei film di Fellini, poi ripreso da Don Siegel in “Contratto per uccidere” e infiniti altri. Nel test di Lüscher il nero, come somma di tutti i colori indica cambiamento, possibilità infinite, mentre il bianco non è utilizzato.

Nell’immagine: Kazimir Severinovič Malevič, Cerchio nero su fondo bianco, 1915

PSICOLOGIA DEI COLORI#6 (di Alfredo Sgarlato)

Il verde è legato alla natura, alla fioritura, da cui popolarmente alla speranza (di messi rigogliose).  In quanto tale, è colore femminile, ma poiché la natura è altro da noi diventa, nell’immaginario popolare del ‘900, il colore degli altri, gli alieni, i marziani. Nell’antichità, poichè è legato alla fioritura, era amato dai popoli nordici, da vichinghi, dai celti, per cui diventa simbolo oggi dell’Irlanda e, in Italia, di movimenti politici che si rifanno a presunte radici celtiche. Non era amato dai Greci, dai primi cristiani, mentre è simbolo positivo per gli antichi Egizi, e quindi dalle tradizioni esoteriche rinascimentali che al culto di Osiride si rifanno, ma nel Medioevo è legato anche al veleno, alle streghe. Tradizionalmente verde è il turbante di Mamoetto, perché il verde domina il paradiso islamico (il celeste quello cristiano). Per via dell’ovvio riferimento alla natura è anche legato ai movimenti ecologisti, e in passato anche a femministe e gay, ma, al contrario, verdi sono anche le divise militari (mimetiche) e le camice degli sgherri del criminale Codreanu. Legandosi alla prosperità diventa anche, in età contemporana, il colore dei soldi, i dollari soprattutto. Per Mondrian era un colore inutile e nella moda è considerato il colore più difficile da portare, eppure in Europa è scelto come colore preferito da una persona su sei. Nel test di Lüscher la scelta del verde indica ambizione.

Nell’immagine: Paul Cézanne, Pommes vertes (circa 1873). Paris, musée d’Orsay. © Leemage/Josse.

PSICOLOGIA DEI COLORI#7 (di Alfredo Sgarlato)

A quanto scrive lo storico dell’arte Pastoreau per molti secoli il giallo non è stato percepito come colore a sè stante, e spesso ha avuto una connotazione ambigua, a seconda che la sfumatura fosse acida o brillante. Il giallo può essere abbinato alla bile, all’urina, e quindi all’invidia, al tradimento:  gialla è la veste di Giuda, dalla radice “fel” derivano sia bile che fellone; oppure all’oro e allo zafferano, altra sostanza rara e costosa, o al miele, e quindi a ricchezza e gioia di vivere. Nell’antica Roma era il colore delle donne sposate, e la cerimonia del matrimonio prevedeva l’ingresso in una stanza dalle pareti giallo carico. Nel Medioevo assume carattere negativo, ambiguo: la veste di Giuda è prescritta per folli, appestati, buffoni, usurai, prostitute, carnefici, ma anche artisti, tutti coloro che sono fuori dall’ordine costituito. Però Il Giovane Werther porta pantaloni gialli, e il suo stile sarà molto imitato. Gli Impressionisti, i Fauves, Van Gogh, Cezanne, lo amano e lo fanno riscoprire. Nonostante la stella gialla imposta agli ebrei (rifacendosi alla simbolica medievale) nel ‘900 è amato dai movimenti antisistema, qui in senso positivo, come dai pubblicitari, in quanto colore moderno, dinamico. Nel test di Lüscher indica proprio la tendenza al dinamismo, al movimento, chi lo sceglie però tende ad evitare il conflitto e a lasciare ad altri le responsabilità.

Nell’illustrazione: Édouard Manet, Le citron, 1880

PSICOLOGIA DEI COLORI#8 (di Alfredo Sgarlato)

Gli avvenimenti politici recenti hanno portato in auge l’arancione, scelto come colore simbolo da un gruppo di improvvisati contestatori, a detta dei detrattori poiché ultimo colore rimasto a disposizione. In effetti l’arancione non è storicamente molto considerato: in varie lingue, tra cui il coreano, non ha neanche un nome proprio. Del resto l’arancia, frutto che dà il nome al colore, in Europa arriva solo nel Medioevo, per questo vengono definiti rossi i capelli o le pellicce dei gatti quando sarebbero in realtà arancioni. Gli antichi cristiani lo legavano ai peccati di gola, in Oriente è il colore del secondo chakra e dell’ascetismo, infatti è usato nelle vesti dei seguaci di alcuni culti di provenienza indiana; inoltre in Irlanda è il colore simbolo dei protestanti. Per gli amanti del calcio l’arancione è simbolo della nazionale olandese degli anni ’70, gli inventori del calcio totale (“tutti avanti e tutti indietro”, si diceva da ragazzini), dal look capellone, unici col permesso di portarsi le fidanzate in ritiro, ingiustamente sconfitti in due finali mondiali. Paradossalmente la maglia era (come per l’Italia) del colore della casa reale e finì per rappresentare i valori opposti. La squadra era detta anche “Arancia meccanica”, dal titolo del film di Kubrick, frase gergale che indica qualcosa di assurdo. L’arancione, che spontaneamente abbiniamo soprattutto ai lavoratori delle autostrade, è molto amato da grafici e pubblicitari, perché vivace come rosso e giallo ma meno aggressivo, spesso in coppia col riflessivo blu. Nel test di Lüscher la sua scelta indica il desiderio di energia, ma anche la facilità di eccitarsi e di cedere alle provocazioni.

Nell immagine: Tamara de Lempicka, Les confidences, 1928, collezione privata